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Lettere di Plinio il Giovane a Tacito


Lettere di Plinio il Giovane a Tacito

E dedicato ai miei clienti appassionati e i ragazzi che hanno visitato Pompei con me, alla gita scolastica allegra e piena di entusiasmo,  e a tutti che trovano piacere nella storia.

Prima Lettera a Tacito (Fonte originale di Tacito VI,16)

Caro Tacito,

Mi chiedi di narrarti la fine di mio zio, per poterlo tramandare ai posteri con maggiore esattezza. E te ne sono grato: giacché prevedo che la sua fine, se narrata da te, è destinata a gloria non peritura. Benché, infatti, egli sia perito in mezzo alla devastazione di bellissime contrade, assieme a intere popolazioni e città, in una memorabile circostanza, quasi per sopravvivere sempre nella memoria, e benché egli stesso abbia composto molte e durevoli opere, tuttavia alla durata della sua fama molto aggiungerò l’immortalità dei tuoi scritti.

Ben io stimo fortunati coloro ai quali per dono divino e dato o di fare cose degne di essere narrate o di scriverne degne di essere lette; fortunatissimi poi coloro ai quali e concesso l’uno o l’altro. Fra costoro sarà mio zio in grazia delle sue opere e delle tue. Perciò tanto più volentieri imprendo a compiere ciò che desideri, anzi lo chiedo come un favore. 

Scopri più nel racconto prima lettera di Plinio il Giovane al suo amico Tacito:

Egli era a Miseno e comandava la flotta in persona. Il nono giorno prima delle calende di settembre, verso l’ora settima, mia madre lo avverte che si scorge una nube inolita per vastità e per aspetto. Egli, dopoaver preso un bagno di sole e poi d’acqua fredda, aveva fatto uno spuntino giacendo e stava studiando;

chiese le calzature, salì a un luogo dal quale si poteva vedere bene quel fenomeno. Una nube si formava (coloro che la guardavano così da lontano non appariva vene da quale monte avesse origine, si seppe poi dal Vesuvio), il cui aspetto a la cui forma nessun albero avrebbe meglio espressi di un pino.

Giacché  protesasi verso l’alto come un altissimo tronco, si allargava poi a guisa di rami: perché, ritengo, sollevata dapprima sul nascere da una corrente d’aria e poi abbandonata a se stessa per il cessare di quella o cedendo al proprio peso, si allargava pigramente. A tratti bianca, a tratti sporca e chiazzata, a cagione del terriccio o della cenere che trasportava.

Tacito e curioso come continua il racconto di Plinio il Giovane della prima lettera, e tu?

Da persona erudita qual era, gli pare che quel fenomeno dovesse essere osservato meglio e più vicino. Ordina che si prepari un battello liburnico: mi permette, se lo voglio, di andare con lui; gli rispondo che preferisco rimanere a studiare, anzi per avventura lui stesso mi aveva assegnato un compito.  Stava uscendo di casa, quando riceve un biglietto di Retina, moglie di Casco, spaventata dal pericolo che la minacciava (giacché la sua villa era ai piedi del monte e non vi era altro scampo che per nave): supplicava di essere strappata da una così terribile situazione. Lo zio cambiò i propri piani e ciò che aveva intrapreso per amore di scienza, condusse a termine per spirito di dovere.

Immagina lo stupore di Tacito quando continua a leggere la prima lettera di Plinio il Giovane:

Mette in mare la quadriremi e si imbarca lui stesso per recar aiuto non solo a Retina, ma a molti altri, giacché per l’amenità del lido la zona era molto abitata. Si affretta là donde gli altri fuggono, va diritto, rivolto il timone verso il luogo del pericolo, cosi privo di paura, da dettare e descrivere ogni fenomeno di quel terribile flagello, ogni aspetto, come si presenta ai suoi occhi.

Già la cenere cadeva sulle navi, tanto più calda e densa quanto più si approssimava; già della pomice e anche dei ciotoli anneriti, cotti e frantumati dal fuoco; poi ecco un inatteso bassofondo e la spiaggia ostruita da massi proiettati dal monte. Esita un momento, se doveva rientrare, ma poi al pilota che lo esorta a far ciò, esclama: “La fortuna aiuta gli audaci, punta verso Pomponiano!”

Mentre legge Tacito la lettera di Plinio il Giovane, immagina di trovarsi proprio li, a Stabia sulla nave:

Questo era a Stabbia, dall’altra parte del golfo (giacché ivi il mare si addentra seguendo la riva che va via via disegnando una curva). Quivi Pomponiano, benché il pericolo non fosse prossimo, ma alle viste però e col crescere potendo farsi imminente, aveva trasportato le sue cose su alcune navi, deciso a fuggire, se il vento contrario si fosse quietato. Ma questo  era allora del tutto favorevole a mio zio, che arriva, abbraccia l’amico trepidante, lo rincuora, lo conforta, e per calmare la paura di lui con la propria sicurezza, vuole essere portato al bagno: lavatosi, cena tuto allegro o, ciò che e ancor più, fingendo allegria.

Frattanto dal monte Vesuvio in parecchi punti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, il cui chiarare e la cui luce erano resi più vivi dalle tenebre notturne. Lo zio andava dicendo, per calmare le paure, essere case che bruciavano abbandonate e lasciate deserte dalla fuga dei contadini. Poi si recò a riposare e dormì di un autentico sonno. Giacché la sua respirazione, resa più pesante e rumorosa dalla vasta corporatura, fu udita da coloro che adocchiavano dalla soglia.

Tacito trattiene il sospiro,  mentre legge la prima lettera di Plinio il Giovane:

Ma il livello del cortile, attraverso il quale si accedeva a quell’appartamento, s’era già talmente alzato  perché ricoperto dalla cenere mista a lapilli che, se egli si fosse più a lungo indugiato nella camera, non avrebbe potuto più uscirne.  Svegliato, ne esce e raggiunge Pomponiano e gli altri che non avevano chiuso occhio. Si consultano fra loro, se debbano rimanere in luogo coperto o uscire all’aperto. Continue e prolungate scosse telluriche scuotevano  l’abitazione e quasi l’avessero strappata dalle  fondamenta sembrava che ora si abbassasse ora si rialzasse.

D’altra parte all’aperto si temeva la pioggia dei lapilli per quanto leggeri e porosi; tuttavia, confrontati i pericoli, egli scelse di uscire all’aperto. Ma se in lui prevalse a ragione a ragione, negli altri timori a timore. Messi dei guanciali sulla testa li assicurano con lenzuoli; fu questo il loro riparo contro quella pioggia.

La prima lettera di Plinio il Giovane rispecchia la testimonianza oculare della distruzione di Pompei nel 79. d.C.

Già faceva giorno ovunque, ma colà regnava una notte più scura e fonda di ogni altra, ancor che rotta da molti fuochi e varie luci.  Egli volle uscire sulla spiaggia e veder da vicino se fosse possibile mettersi in mare; ma questo era ancora agitato e impraticabile. Quivi, riposando sopra un lenzuolo disteso, chiese e richiese dell’acqua fresca e la bevve  avidamente. Ma poi le fiamme e il puzzo di zolfo che le annunciava mettono in fuga taluni e riscuotono lo zio.

Sostenuto da due schiavi si alzò in piedi, ma subito ricadde, perché , io suppongo,  l’aria ispessita dalla cenere aveva ostruita la respirazione e bloccata la trachea che egli aveva per natura delicata e stretta e frequentemente infiammata.  Quando ritornò il giorno (il terzo dopo quello che aveva visto per ultimo) il suo corpo fu trovato intatto e illeso, coperto dei panni che aveva indosso: l’aspetto più simile a un uomo che dorme, che a un morto.

Tacito e curioso di sapere di più! Lo scopri nella seconda lettera di Plinio il Giovane…

Frattanto a Miseno io e la mamma….. ma ciò non importa alla storia, e tu non volevi conoscere altro che il racconto della sua morte.  Faccio dunque punto. Una cosa  sola voglio aggiungere: ti ho esposto tutto ciò cui assistetti o che seppi subito, quando i ricordi sono più veritieri. Tu cavane ciò che più  importa: altra cosa infatti una lettera, altra una storia; altra cosa scrivere per un amico, altra per il pubblico. Addio.

 

 

Seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacitus (fonte: Tacitus VI,20)

Dedicato a tutti quelli che amano la storia, a quelli che hanno fatto con me, la Guida Turistica,  un viaggio nel tempo (la visita guidata) a Pompei! Dedicato a tutti quelli che lo faranno in futuro!

Mi dici che, messo in curiosità dalla lettera, che io ti scrissi a tua  richiesta intorno alla more di mio zio, desideri conoscere non solo quali timori, ma anche quali pericoli abbia affrontato, quando fui lasciato a Miseno (stavo infatti per dirtelo ma mi interruppi). Benché lutto e dolore mi rinnovelle e sol della memoria mi sgomente io pur lo conterò.

Partito lo zio, consacrai tutto il mio tempo allo studio (appunto per ciò ero rimasto); poi il bagno, la cena, un sonno inquieto e breve. Molti giorni innanzi v’erano state, come preliminari, delle scosse di terremoto, senza parò vi si facesse gran caso, perché in Campania frequenti;  ma quella notte crebbero talmente da far sembrare che ogni cosa non dico si muovesse, ma addirittura si rovesciasse. Ci fermammo nel cortile della casa; un breve spazio che separa le abitazioni dalla spiaggia.

Mentre Tacito legge la 2° lettera di Plinio il Giovane trema solo al pensiero!

Non so se debba definire coraggio o incoscienza (non avevo, infatti, che diciotto anni): mi faccio dare un volume di Tito Livio e come per passare il tempo, leggo e anche, come avevo incominciato, ne traggo degli estratti.  Ecco un amico  dello zio, che da poco era arrivato dalla Spagna per incontrarlo; come vede me e la madre mia seduti nel cortile, io per di più che sto leggendo, rimprovera lei per la propria indolenza e me per la spensieratezza.  Non per  questo io sospesi la letteratura.

Era giù la prima ora del giorno, eppure la luce era ancora incerta e quasi languida. Gli edifici attorno erano squassati e benché fossimo in luogo aperto, angusto, però, il timore di un crollo era grande i imminente. Solo allora ci decidemmo a uscire dall’abitato; ci segue una folla sbigottita e, ciò che nello spavento appare come prudenza, preferisce alla propria la risoluzione altrui e in gran massa ci incalza e preme alla nostra partenza.

Tacito si mette nei panni di Plinio il Giovane, mentre legge la 2° lettera e li manca il rispiro:

Usciti dall’abitato, ci fermiamo.  Assistiamo quivi a molti fenomeni, strani e paurosi. Giacché i veicoli, che avevamo fatto predisporre, benché il terreno fosse piano, rinculavano e neppure con il sostegno di pietre rimanevano al loro posto. Pareva inoltre che il mare si ripiegasse su se stesso, quasi respinto dal tremar della terra. Certamente la spiaggia s’era allargata e molti animali marini giacevano sulle sabbie rimaste in secco.

Dal lato apposto una nube nera e terribile, squarciata da guizzi serpeggianti di fuoco, si apriva in vasti bagliori di incendio: erano essi simili a folgori, ma ancor più estesi.  Allora quello stesso amico venuto dalla Spagna con più forza e insistenza esclamò: “Se tuo fratello, tuo zio vive, egli vuole che voi siate messi in salvo; se è perito, vuole che voi gli sopravviviate! Perché dunque indugiate a fuggire?” Rispondemmo che non ce la sentivamo, nell’incertezza della sua sorte, di pensare alla nostra.  Non attese altro, subito ci lasciò e di gran carriera si sottrasse al pericolo.

Tacito immagina l’aria cuba mentre legge la seconda lettera scritto da Plinio il Giovane:

Dopo non molto quella nube si abbassò e nascose Capri, tolse di vista il promontorio di Miseno. Allora mia madre si mise a pregarmi, a scongiurarmi, a ordinarmi che in qualsiasi modo cercassi scampo: io lo potevo perché giovane, non essa,  per gli anni e la pesantezza  del corpo, ma era ben contenta di morire, pur di non essere cagione di mia morte. Mi opposi: non mi sarei messo in salvo senza di lei; poi, prendendola per mano, la costrinsi ad affrettare il passo. Essa vi riesce a stento e si lagna perché mi ritarda.

Cadeva già della cenere, ma ancora non fitta. Mi volgo: una densa caligine ci sovrastava alle spalle e simile a un torrente che si rovesciasse sul terreno, ci incalzava. “Tiriamoci da banda”, dissi, “finche ci si vede, perché se cadessimo per via, non finiamo schiacciati al buio dalla folla che ci segue!” Ci eravamo appena seduti, che scese la notte, non come quando v’e luna o il cielo è nuvoloso, ma come quando ci si trova in un locale chiuso a lumi spenti.

La seconda lettera di Plinio descrive a Tacito la situazione degli abitanti:

Udivi i gemiti delle donne, i gridi dei fanciulli, il clamore degli uomini: gli uni cercavano a gran voce i genitori, altri i figli, altri i consorti, li riconoscevan’ dalle voci; chi commiserava la propria sorte, chi quella dei propri cari: ve n’erano che per timore della morte invocavano la morte; molti alzavano le braccia agli dei, altri più numerosi dichiaravano che non vi erano più dei e che quella era l’ultima notte del mondo. Ne mancavano coloro che accrescevano i pericoli veri con immaginari e menzogneri terrori.

Chi annunciava falsamente, ma era creduto, che  Miseno era crollata o era in fiamme. Riapparve un debole chiarore, che non ci sembrava il giorno, ma l’inizio dell’approssimarsi del fuoco. Ma questo si fermò a distanza e di nuovo furono le tenebre, di nuovo cenere in gran copia e spessa. Noi ci alzavamo a tratti per scrollarla di dosso, altrimenti ne saremmo stati ricoperti e anche oppressi sotto il suo peso.

Un leggero sorriso appare sul viso di Tacito, mentre legge la seconda lettera di Plinio il Giovane:

Potrei vantarmi di non aver lasciato sfuggire in così pericolosi frangenti ne un lamento ne una espressione men che virile, se non avessi trovato gran conforto alla morte nel pensiero che io perivo insieme a tuti e con me, misero, il mondo. Alfine quella caligine si attenuò e svanì in una specie di fumo o di nebbia: quindi fece proprio giorno, anche il sole apparve, ma livido, come quando è in eclisse. Agli sguardi ancor trepidanti il paesaggio appariva mutato e ricoperto da una spessa coltre di cenere, come fosse nevicato.

Prevaleva il timore; giacché le scosse di terremoto continuavano e molti fuor di senno con delle previsioni terrificanti crescevan’ quasi a gioco i propri e gli altrui malanni. Noi però, benché scampati ai pericoli e in attesa di nuovi, neppure allora pensassimo a partire, finché non ci giungesse notizia dello zio.

Questi particolari, non certo degni di storia, li leggerai senza valertene per i tuoi scritti e imputerai a te stesso, ch’me ne hai richiesto, se non saranno degni neppure di una lettera. Addio

Fonte: Guide Archeologiche Pompei, La Rocca/De Vos (Mondatori)

Anacapri , Dicembre 2020

Cecilia Barbara Walch

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